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Non distruggo la corolla dei prodigi del mondo,
e non stermino
con la ragione gli enigmi che incontro sul mio cammino,
nei fiori, negli occhi, sulle labbra o nei sepolcri.
La luce altrui
soffoca il fascino celato
nelle profondità del buio,
però io,
io con la mia luce ingrandisco il mistero del mondo.
Esattamente come con i suoi bianchi raggi la luna
non rende più piccolo, ma tremolante,
e aumenta ancora di più il mistero della notte,
così io arricchisco anche l’oscuro orizzonte
con gli alti fiori del santo mistero
e tutto ciò che è inintelligibile
si trasforma in maggiormente incomprensibile
sotto i miei occhi,
perché io amo
e fiori e occhi e labbra e tombe.


Lucian Blaga


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Poesie e racconti di William De Generis

Autofagia. Di William De Generis.

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Rien ne vas plus:
ti si inceppa la coscienza
nel porgere al ricordo
di un futuro te stesso
polverosi garofani di plastica
nello statico tran tran per vie deserte
tra ebetismi mascherine e pozzanghere di piscio
i violini che strimpellano
in cuffie da due soldi
non coprono per niente
il silenzio degli assenti
e persistere è un sensibile giacere
dentro un loculo di carne,
marcire tra l’oggi e il chissà quando.

L’ego bello mio
è un compromesso non ratificato
quanto mai passibile di trattativa
nel rinculo di pensieri nati a cazzo
ci si scola le residue poche gocce
di umanità svilita
spirale in chiaroscuro
nella tazza di caffè sempre più caro
angustia ineluttabile
del divenire cibo per vermi
anema e core.

Rottamale dai retta
le innate propensioni
messe vie da chissà quando
con l’intento sociofobico di spacciarsi
per passabile imitazione antropica
tra pari manichini di carne e silicone
in ambiti variabili
in amabili sembianti
a giudizio insindacabile
di battone di passaggio
putride e imprescindibili
orpelli mascolini messi in mora
dall’astensione volontaria o meno
dai doveri non scritti
delle consuetudini sociali e socialiste
l’aoristo non è checchè ne dicano
una roba che si mangia.

Arrangiati fanciullo
che uomo non sarai
fino almeno ai settant’anni
pasciati d’ameno non sapere
dove appendere il cucchiaio
campa d’aria finchè puoi
simula sorrisi da minchione
per i posteri e per l’ardua sentenza
che non avrà mai appello
giù il cappello alla logorrea
di imbecillismi sparsi
che ti piomba addosso
da pleonastici mass media
e grassi tromboni intabarrati
stitica maratona del comunicare il nulla
in tutte le lingue del creato
indorarlo di lustrini digitali
meschine pulsioni solipsistiche
fobie a buon mercato
banalità all’ingrosso
cervelli atrofizzati all’ammasso.

Si scassano nell’urto, credi a me
concezioni incompatibili
sui programmi culturali
in onda alle quattro del mattino
fin da quando il verbo osò farsi carne
e il pirla senza tempo sullo schermo
che nulla sa niente fa
dunque insegna o millanta il farlo
fammi volare capitan senza una meta
niente tarli a roder menti rassegnate
preservate da quintali d’essenziale “naftalina”
dilaga l’osmosi tra color che son sospesi
nell’attesa di un qualunque casus belli
ch’espliciti l’implicita guerra santa
avverso i congiuntivi
asta bira e calippo siempre
e vai di funambolismi linguistici
a quattro mani e mezzo neurone
e per merenda libri di cibernetica
e insalata di matematica
a smorzare il fetido alito pesante
che sbuffa il popolo bue in faccia al prossimo
nel covo dei demagoghi
non c’è più un cantuccio vuoto
dal nido del cuculo han rubato tutte le uova
di solo vinsanto non si campa
urge il companatico a scapito dei fessi
e l’effimera vacuità del vuoto
e del silenzio assenso
si fa sensale tra questa vita e l’altra
in occhi scaltri da cavar via
per non destar sospetti
non suscitar verdetti
di molesta intelligenza.

Sprofonda è assai meglio
nella flaccida indolenza
d’aspiranti caimani castrati
scavati una fossa da eunuca voce bianca
nell’ultima fila del coro
in apprensiva attesa
dell’ apericena con buffet a prezzo fisso
età d’oro dell’ entomata
senz’ombra di decoro
sic stantibus rebus
l’insondabile senso della vita
è un coitus interruptus mancato d’un soffio
un giro di basso scordato
un vecchio vinile graffiato a morte.
(…mamma tanto non lo sa se sganceranno mai la Bomba…)

William De Generis

Il poeta è un fingitore.

Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.

E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.

E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore.

Fernando Pessoa


Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


Eugenio Montale


Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta 
quel nulla
d’inesauribile segreto.



Giuseppe Ungaretti 

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